TIMEOUT | Damian Lillard: una vita da sottovalutato
La storia di un fuoriclasse praticamente mai ritenuto tale, tra rivalità e colpi di scena...
Detroit, 15 dicembre 2013.
Nella Motor City stasera gli ospiti sono i Portland Trail Blazers, pronti a sfidare, in una partita per alcuni molto particolare, i padroni di casa, i Pistons. La franchigia dell'Oregon è attualmente la miglior squadra della Lega, vantando uno strepitoso record di 21-4. La coppia Aldridge-Lillard ha sorpreso tutti dimostrando, dopo il primo anno di rodaggio, di poter già competere tra le prime della classe.
Ben diversa è invece la situazione sull'altra sponda, con una squadra partita sì con grandi aspettative, ma arrivata fino ad ora con una percentuale di vittorie ben inferiore al 50%. Il match, apparentemente scontato, si sviluppa in realtà su binari abbastanza inaspettati, vedendo Josh Smith ed Andre Drummond stradominare completamente senza farsi intimidire dagli attacchi avversari.
Ferita nell'orgoglio, la vera Portland si sveglia nell'ultimo quarto, riuscendo miracolosamente a portare la gara all'overtime. Il supplementare rimane punto a punto fino alla fine, e non appena Rodney Stuckey riporta per l'ennesima volta la gara in parità con soli 13 secondi da giocare, coach Stotts chiama ovviamente TIMEOUT!
I giocatori si apprestano a rientrare nelle rispettive panchine e tra gli sguardi dei vari giocatori ce n'è uno particolarmente semplice da leggere. Damian Lillard è su tutte le furie, non si può assolutamente permettere di perdere quella partita. Oltre che per non fermare la striscia di vittorie, Dame ha anche un interesse personale molto particolare nel vincere quella sfida. Ciò che questa partita rappresenta per il numero 0 lo possiamo capire però, solamente analizzando la sua storia, partendo da lontano.
Da molto lontano, esattamente dalla sua nascita, ad Oakland, in California. E' piuttosto noto come questa non fosse la cittadina migliore dove crescere, a causa dell'altissimo tasso di criminalità, con la presenza di gang e personaggi di una certa pericolosità. Per riuscire a farsi spazio in questo contesto c'è bisogno di un carattere molto forte e deciso, cosa che Damian non aveva, ma che si costruì col passare degli anni come automatico adattamento alla situazione. Durante la sua carriera sportiva, Lillard ha da sempre portato con sé l'etichetta di sottovalutato. Ad ogni stadio della sua crescita sembrava essere invisibile, sembrava non essere al pari degli altri.
"La prima volta che ricordo risale a quando avevo 8 anni, giocavo a football. A quell'età era obbligatorio per i coach far giocare a tutti i bambini almeno 6 possessi a partita. Non ero male, ma ogni volta giocavo solamente quelle 6 maledette azioni e tornavo in panchina."
Forse fu anche per questo che Dame decise di buttarsi sulla pallacanestro, uno sport che lo aveva sempre appassionato, ma che non si era mai deciso a provare a causa della sua taglia troppo minuta. Come detto, per resistere in quartieri del genere, Lillard aveva imparato a non mollare mai, a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Ogni volta che i bulli della scuola gli intimavano di dargli i soldi della merenda, lui si rifiutava e, in caso di bisogno, lottava fisicamente. Nonostante ogni volta avesse la peggio, non smise di opporsi e lottare. Questo aspetto del suo carattere si riversò pienamente anche sul campo da basket. Per migliorare infatti, Damian passava intere giornate durante l'estate nella palestra locale, aperta a tutti, dove trovava ragazzi molto più grandi di lui pronti a giocare duro con lui come fosse un pari età.
Questo gli consentì di crescere velocemente ed arrivare alla high school come il miglior giocatore in roster. Il primo anno infatti è strepitoso, domina su tutto e tutti, ma porta con sé il pessimo vizio di parlare troppo. Il trash talking tra i ragazzi non è sempre ben accetto dai genitori, e per questo Dame fu costretto a cambiare scuola al termine del primo anno.
Sorprendentemente, nella squadra della St. Joseph Notre Dame High School, venne fatto partire dalla panchina, considerandolo non abbastanza per essere in quintetto. I genitori decisero dunque di spostarlo di nuovo, stavolta alla Oakland High School, dove finalmente ritrovò il posto da titolare e fece innamorare tutti di lui.
Nonostante l'exploit dell'ultimo anno, Lillard venne ritenuto ancora inferiore rispetto ad altri prospetti, che preferirono offrire le loro borse di studio a Brandon Jennings, lasciando Dame con pochissime offerte in mano. Decise di accettare la Weber State University, non troppo rinomata ma perfetta per il suo obiettivo: essere migliore di quanto Jennings non potrà mai essere.
Gli allenamenti per lui furono di altissimo livello fin dal primo giorno nella palestra vicino casa ad Oakland, in preparazione alla stagione. Proprio al termine di una di queste sessioni, Damian si trovò ad aspettare l'autobus per tornare a casa quando ormai si era fatto buio. Venne avvicinato da tre soggetti con il volto coperto che gli intimarono di lasciare ogni oggetto di valore che avesse con sé.
Ormai avete capito che tipo è Dame, e sapete esattamente quale fu la sua reazione. Lasciò partire un destro secco al primo dei tre, e mentre si preparava ad assalire il secondo, il terzo delinquente tirò fuori una pistola e gliela puntò alla tempia. Lillard rimase paralizzato dalla paura e lasciò che i tre lo derubassero di tutti i soldi che portava con sé.
Dopo questo tremendo avvenimento decise di spostarsi definitivamente a Ogden, dove avrebbe appunto giocato per le prossime stagioni. Dopo un primo anno impressionante, ricevette decine e decine di offerte da importanti college che adesso lo volevano nel proprio roster. Decise di rimanere fedele a chi aveva creduto in lui, dicendo ai pretendenti di tenersi il loro amato Jennings, che peraltro aveva deciso di non fare il college ma di venire a giocare in Europa.
Al termine dell'eccezionale esperienza universitaria, Lillard venne scelto dai Portland Trail Blazers con la sesta scelta assoluta, franchigia che gli affidò immediatamente le chiavi della squadra e la posizione di uomo-copertina. Ed è qui che suona la sirena del timeout, perché dopo il primo anno da Rookie of the Year, adesso Dame si trova ad affrontare la stagione della consacrazione. Questa partita come detto, ha un sapore speciale per lui, in quanto tra le file degli avversari figura l'acerrimo nemico che porta il nome proprio di Brandon Jennings.
Deve assolutamente fargli capire chi comanda. Per questo, nonostante inizialmente l'idea fosse di giocare un possessso con Aldridge in post, chiede al coach di poter giocare lui gli ultimi 13 secondi con un isolamento. L'azione inizia, Jennings sul gomito dell'area ad osservare, i secondi passano, Damian penetra in palleggio, spin verso destra e tiro in allontanamento di difficilissima fattura. La sirena suona e Lillard indica con il dito il suo polso, il che può significare solamente una cosa. Sorry Brandon, it's Dame time!
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