Silenzio si fischia. Per trentanove lunghissimi anni chiunque abbia masticato dalla tv seduto comodamente dal proprio divano avrà visto almeno una decina di volte arbitrare Mr whistle: Richard T. Bavetta, noto a tutti come Dick.
Ha diretto oltre duemilaseicento gare, una leggenda della pallacanestro americana nonostante non abbia mai fatto un canestro. Paradosso per un ruolo che sulla carta passa spesso inosservato, ma che ha grande rilevanza nel paese del “where amazing happens”. Per l’esattezza il Dick nazionale ha arbitrato consecutivamente duemilatrecentosessantacinque partite, nemmeno a dirlo un record nella NBA. L’arbitro di Brooklyn, però, ha smesso. Qualche settimana fa ha annunciato alla veneranda età di settantaquattro anni il suo addio al basket che conta, appendendo il fischietto al chiodo.
Una carriera fondata dal rispetto dei giocatori su di lui. Non è facile vedere un Mutombo o a volte anche uno Sheed Wallace (vabbé quello raramente), star zitti e abbassare la testa davanti a una celebrità silenziosa e più grande di loro. Ventisette Finals NBA dirette, cui vanno aggiunti anche tre All-star Game, anche se lì davvero l’arbitro è mera cosa.
Di chiare origine italiane, il nonno era venuto direttamente dall’Italia per trovare fortuna a New York a fine diciannovesimo secolo. Bavetta aveva come caratteristica particolare quella di correre dalle sei alle otto miglia al giorno, qualunque fosse la città o destinazione a lui assegnata dalla lega. Mancherà il suo pugno duro, il rispetto per il giocare e lasciar giocare, ma, con la sua grande lungimiranza ha scelto il momento giusto per dire addio. Sa di aver lasciato a Joey Crawford (nonostante sia sotto contratto in NBA dal 1977) il fischietto in eredità.
Thanks a lot Dick.
Claudio Battiato