Cosa è un flash? Ci sono tante, ma tante definizioni: magari il flash della macchina fotografica, quello che illumina situazioni buie, magari Flash il supereroe, quello che va alla velocità della luce, o anche, nel gergo comune, una visione. Dwyane Wade è detto “The Flash” praticamente da sempre, e nel suo caso, la definizione di flash è complicata, perché forse è assimilabile a tutte quelle già riportate nelle righe precedenti.

Quando un giocatore smette, come purtroppo tra pochi anni sarà per l’eterna bandiera degli Heat, la prima cosa che si guarda è il palmares, con buona pace delle imprese vere sul parquet: un canestro incredibile, una difesa nel momento clou della partita, una reazione da vero campione alle provocazioni, nulla di tutto ciò è riflesso dall’albo d’oro, dalle statistiche; ma il mondo va così, e per Wade non sarà un problema, perché per quanto il suo libro dei record non dica nulla della grandezza del giocatore, è comunque molto ricco.

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3 titoli NBA, un MVP delle finali, classifica marcatori vinta nel 2008-2009, 11 volte All-Star, di cui una volta MVP, e 2 volte primo quintetto NBA. Poi ci sono anche i record negativi, come le due Finals perse, quando giocava al fianco del suo amico fraterno LeBron James. Potreste capire chi è Wade solo leggendo queste statistiche ma, come già detto, non sarebbe abbastanza. Chi è stato The Flash? Basta dire che nell’ultima gara ha raggiunto i 19.004 punti, superando Dale Ellis nella classifica All-Time, entrando nella top 50 di tutti i tempi? Ovviamente no, non basta.

Il mito di Wade, sì, stiamo parlando di mito, parte al college, dove si ferma per tre anni, di cui solo due giocati. Perché? Perché i suoi voti non erano buoni. È da qui che inizia il suo percorso, quello da guerriero, quello che lo ha reso ogni volta capace di motivarsi dal paragone coi suoi antagonisti, dalle critiche, dalla voglia di essere il primo e non il secondo. Nonostante la lontananza dal campo, Wade sta spesso con la squadra, apprendendo al meglio il gioco, per potersi, nei successivi due anni, imporre come scoring leader della squadra, e portando la sua squadra, nell’ultimo anno di frequentazione al college, alle Final Four.

Dopo il college, si rende eleggibile per il Draft NBA, dove viene selezionato dagli Heat alla numero 5, dopo LBJ, Darko Milicic (poveri Pistons!) Carmelo Anthony e Chris Bosh. La stagione inizia male, con un infortunio al polso ma, dal suo esordio al finale di stagione, Dwyane si impone come una delle migliori matricole dell’anno. Non gli basta. Le sue prestazioni vengono oscurate dal “The chosen one” e da Anthony, così decide di continuare ad allenarsi. Si sa che la fortuna aiuta gli audaci, e la fortuna di Wade ha un nome e un cognome: Pat Riley.

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Tra la prima e la seconda stagione NBA di Wade c’è la prima svolta della sua carriera: i Miami Heat acquisiscono le prestazioni di Shaq, al secolo Shaquille O’Neal.

La squadra va meglio, e nella stagione successiva, con gli arrivi di Walker e Payton, la squadra è la super favorita. Si arriva così alla finale NBA, dove i Miami Heat partono con due sconfitte contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Tra gara due e gara tre, Pat Riley, diventato coach durante la stagione subentrando a Stan Van Gundy, prende in mano la situazione: porta un giornale di Dallas in spogliatoio, dove i suoi sono dati già per spacciati. Volete che The Flash non se la sia presa? 2-2 e tutti a Dallas. Qui Wade dà il meglio: 42 punti, e i liberi decisivi. Il resto è storia. Primo titolo, MVP delle finali, e la leggenda che inizia.

Gli anni successivi sono un susseguirsi di infortuni, di Dwyane stesso e dei compagni, con la squadra che piano piano perde colpi. Arriviamo all’estate del 2010. La più attesa free-agency del secolo vede protagonista, neanche a dirlo, Pat Riley. Chris Bosh arriva a Miami, Wade resta, e soprattutto arriva LeBron James. La storia cambia: gli Heat perdono le loro prime Finals, ma vincono i successivi due titoli e arrivano di nuovo in finale nel loro quarto anno insieme. È incredibile come Wade, che ha tentato per tutta la vita di non essere secondo a nessuno (da quando al liceo lasciò il basket per il football, stanco dei paragoni col fratello, salvo poi, e ringraziamo le divinità del caso per questo, riprendere per dimostrare che si sbagliavano), sia riuscito ad avere i maggiori successi quando ha deciso di essere la spalla del grande LBJ.

Ma cosa è un campione? È uno che vince, e Wade lo sapeva. L’umiltà è stata premiata. E ora? Cosa succede ora? La luce non si ferma, viaggia a una velocità che non è percepibile dall’occhio umano, e così fa anche un qualsiasi Flash, figuriamoci se THE Flash può fermarsi. La corsa non è ancora finita.