Quando a inizio luglio è stato ufficializzato il passaggio di JJ Redick dai Clippers ai 76ers molti sono rimasti sorpresi: non solo per il valore del contratto (23 milioni per un anno) ma anche, se non soprattutto, per la scelta in sé di abbandonare una squadra comunque al top della Western Conference e con ambizioni da anni piuttosto alte per passare a una franchigia in cui i tre principali comandamenti negli ultimi tempi sono stati “tanking”, “ricostruzione dai giovani” e l’ormai famosissimo “The Process”.
Una decisione presa certamente in controtendenza rispetto al trend che vuole i veterani NBA sempre più desiderosi di arrivare in ogni possibile maniera al tanto agognato anello e, per questo, sempre più disposti a lasciare per strada qualche dollaro in più pur di finire in una squadra che possa seriamente garantirgli di mettere le mani a fine stagione sul Larry O’Brien Trophy.
JJ Redick invece quasi sicuramente la prossima stagione non lo vedremo alzare alcun trofeo, ma nonostante questo avrà comunque un ruolo chiave sul campo e nello spogliatoio dei giovani Sixers, ai quali porterà leadership e tiro incarnando allo stesso tempo la figura di mentore da seguire (“Posso essere l’esempio giusto per questi ragazzi, mostrare loro la mentalità della NBA e guidarli tramite il giusto sacrificio in allenamento”, le sue parole qualche settimana fa).
In tutto questo, guardando la quantità di talento e buona volontà attorno a lui, il 32enne nativo di Cookeville è convinto che i playoffs sono e debbano essere l’obiettivo del team per il 2017/2018:
“È un qualcosa di cui abbiamo parlato, che ci siamo detti l’un l’altro: saremo un buon gruppo quest’anno, faremo I playoffs, questo è l’obiettivo. Ora, questo non so cosa significhi: ottavi con un record di 38-44 o quinti con 48-34? Sinceramente non lo so. Sulla carta però penso che siamo una squadra con un insieme di skills tale per cui ci completiamo a vicenda”.
Queste le parole dell’ex Magic e Bucks al podcast Hoops Hype di Alex Kennedy, durante il quale Redick non si è sottratto dal rivelare particolari succosi sulla sua decisione di lasciare Los Angeles. In particolare, in riferimento a quest’ultima, Redick ha ammesso il ruolo chiave avuto da due persone: Ben Simmons e coach Brett Brown.
L’ala da LSU, out tutta la passata stagione per una frattura al piede, è stato il primo a gettare le basi del passaggio di JJ Redick nella città dell’amore fraterno, dove grazie a un amico in comune i due sono entrati in contatto e hanno iniziato a messaggiarsi fin da febbraio-marzo coinvolgendo poi nella discussione anche Embiid.
I tre si sono poi rivisti e hanno avuto occasione di parlarsi faccia a faccia alla partita di calcio organizzata da Steve Nash a New York, un incontro (a sole due settimane prima dell’avvio della finestra della free agency) probabilmente decisivo per convincere il prodotto di Duke a cambiare maglia qualche giorno dopo e accettare la proposta dei Sixers, non aspettando dunque un’offerta da parte dei Brooklyn Nets (dove Redick e moglie speravano di accasarsi per far crescere il figlio) e declinando la chiamata dei Rockets di D’Antoni.
Più di questo evento però, a fugare ogni dubbio sul trasferimento, è stata la sicurezza di trovare in panchina proprio Brown, definito da JJ Redick senza mezzi termini “il fattore più incisivo nella sua decisione di andare a Philadelphia”, sul quale “ogni feedback ricevuto da persone che hanno giocato o sono state intorno a lui è stato positivo”.
“I tifosi dei Sixers dovrebbero essere affascinati perché lui è l’uomo giusto non ci sono dubbi. Penso che giocheremo un basket divertente e penso che trarrò parecchio giovamento da molte delle soluzioni offensive del suo sistema. Per il modo in cui allena e per il tipo di talento che ha attorno, penso che per lui, cercare di capire come usare i ragazzi ed esaltare le loro qualità, sarà molto intrigante”.
E i fan di Philly sperano allora che finalmente coach Brown trovi, con tutti a disposizione, la chiave giusta per dar sfogo a tutto il potenziale del roster dei 76ers e ridare alla città quella postseason che manca da 6 anni e che quest’anno, almeno a sentire Redick, potrebbe non essere un’utopia.