Wizards-Raptors, sabato 28 novembre. A 3 secondi dalla fine, i Canadesi sono sotto 82-81 e giocano la rimessa in attacco dalla tre quarti difensiva dei padroni di casa. DeMarre Carroll batte la rimessa per DeRozan, che viene spinto verso la linea di fondo da un’ottima difesa di Ramon Sessions. La penetrazione del numero 10 ospite attira su di sé il raddoppio di Garret Temple, il quale però non riesce a chiudere sull’avversario che, nell’angolo, trova un liberissimo Cory Joseph. Tiro da 3 piedi per terra, canestro e vittoria per Toronto, strappata negli ultimi decimi di secondo utili.

Joseph, playmaker nato proprio a Toronto, è l’eroe della serata e viene immediatamente travolto dagli abbracci festanti di tutti i suoi compagni, felici non solo per l’incredibile vittoria, ma anche perché ad aver mandato a bersaglio l’ultimo tiro è stato proprio il numero 6. Cory infatti non è una superstar NBA: per arrivare a giocare nella Lega e ritagliarsi anche il proprio spazio, acquisendo una certa credibilità, ha dovuto faticare e sudare parecchio, rischiando addirittura di non farcela.

Joseph

Dopo due anni coi Longhorns, a Texas University, nel Draft 2011 viene chiamato con la 29esima scelta dai San Antonio Spurs di Gregg Popovich. Il ragazzo, anche perché non dotato di un elevata dose di talento naturale, sa che dovrà lavorare un sacco per meritarsi il posto in squadra, trovare un posto nelle rotazioni e farsi trovar pronto quando verrà chiamato in squadra. Pop infatti non perdona e lui lo sa benissimo.

Nonostante i buoni propositi, il Canadese fa fatica a capire e ad inserirsi negli ingranaggi degli Spurs e così, nelle sue prime due stagioni con la maglia nero-argento, gli capita spesso di far la spola tra la panchina di San Antonio e il quintetto degli Austin Toros, la squadra di D-League affiliata. Nel 2013, però, il colpo di fortuna: Parker si infortuna e Joseph viene chiamato ad assumersi più responsabilità e a far vedere di meritare di stare in quella Lega.

Il Canadese risponde presente, parte spesso titolare e, a parte qualche peccato di gioventù e di inesperienza, non sfigura troppo: gli Spurs riescono ad andare ai Playoffs e ad arrivare addirittura a pochi secondi dal titolo, prima che – in gara 6 delle NBA Finals – Ray Allen non riapra i giochi e consegni di fatto il controllo della serie ai Miami Heat di Lebron James, che così vincono il loro secondo titolo consecutivo.

Joseph

Joseph, nei Playoffsvede i suoi minuti calare drasticamente per via della scelta di Popovich di affidarsi ai suoi veterani e ai suoi uomini di fiducia. L’uomo da Toronto, però, non molla, resta in squadra, continua a lavorare sodo e la stagione successiva viene premiato: le sue voci statistiche salgono e, nel remake delle finali dell’anno precedente, conquista l’anello di campione NBA.

A questo punto, vinto il titolo, Joseph vuole giocare con continuità e trovare spazio in una squadra che gli permetta di maturare ulteriormente e dimostrare le sue vere qualità. Quest’opportunità gliela concede la squadra della sua città, con cui firma un quadriennale da 30 milioni di dollari, non prima tuttavia di aver ringraziato la franchigia del Texas per gli anni e le vittorie conquistate assieme.

A Toronto, Cory parte come riserva di Lowry, ma coach Casey ha fiducia in lui e gli concede molto spazio, decidendo addirittura a volte di schierare entrambi nei finali di partita. È il tipo di responsabilità che Joseph voleva avere e, infatti, ripaga la scelta del suo allenatore, trovando continuità in fase offensiva, mostrando progressi in difesa e rivelandosi freddo quando occorre. Come contro gli Wizards.

Joseph

A parte la giocata allo scadere di sabato, più in generale, i numeri messi assieme da Joseph a Toronto, oltre a essere i migliori della sua carriera fin qui in NBA, indicano come stia costantemente migliorando sotto diversi aspetti del gioco e come abbia trovato il suo ruolo e la sua posizione in squadra: in 25, 3 minuti di utilizzo medio, il numero 6 produce 9,3 punti, 2,8 rimbalzi e 3,1 assist a partita, tirando col 50% dal campo.

Preparatosi in estate correndo spesso in salita e simulando con un preparatore i cambi di ritmo tipici di un match NBA, Cory non ci ha messo molto ad integrarsi nel sistema di gioco dei Raptors e a capire cosa volevano i compagni da lui, quali erano le loro abitudini e le loro posizioni preferite in campo.

Di lui, coach Casey apprezza il suo modo di giocare “duro ed efficiente, la sua versatilità (“con Kyle formano una coppia di guardie veramente determinate. Con loro il pallone si muove e il ritmo si alza”), ma soprattutto il suo sacrificio in difesa (lo ha anche definito un “pitbull”) e il fatto che possa spenderlo anche su avversari di altra taglia e ruolo: “Ha la taglia e il coraggio per marcare guardie più grosse e dinamiche. È ideale nei quintetti piccoli, perché in realtà con lui non lo siamo”.

Se poi diventa anche clutch, aggiungiamo noi, a Toronto potremo veramente vederne delle belle.