Questa è una storia di bandiere innalzate, coraggio e patriottismo, disperazione e sorrisi. La storia di un ragazzo greco che è fuggito alla miseria grazie al basket, vivendo precocemente stati sociali e scelte individuali del Paese che l’ha cresciuto.
6 luglio 2015 – Dieci, cento, mille bandiere bianco-blu, strisce orizzontali ed una croce sul vertice alto sinistro, sventolano nelle piazze di Atene. E’ la vittoria del coraggio greco, salvezza o condanna chissà, contro l’autorità imposta dalle Potenze Europee.
C’è chi dice No, la Grecia ad esempio.
27 giugno 2013, Barclays Center – A New York, tra le mille luci della città che non dorme, brilla un vessillo ammaliante. Una bandiera bianco-blu, strisce orizzontali ed una croce sul vertice alto sinistro, sventola nella casa dei Nets. La Grecia, di soppiatto, entra nell’America del Basket scegliendo la vetrina del Draft.
Il prescelto? Giannis Antetokounmpo.
Un passo indietro, per rivelarsi sempre due passi avanti. Nel male, nel bene.
6 dicembre 1994, Atene – Nel quartiere ateniese di Sepolia, i nigeriani Charles e Veronica Adetokunbo mettono al mondo Giannis, crescendolo in condizioni economiche e sociali disagiate. La famiglia giunta in Europa nel 1991 non viene riconosciuta dallo Stato Greco e, senza permesso di soggiorno, cerca disperatamente di arrivare a fine giornata racimolando spiccioli sufficienti a nutrirsi. I figli Thanasis, Giannis, Alexis, Francis, Kostas non possono essere segnati all’anagrafe mentre l’acquisizione della cittadinanza nigeriana comporterebbe l’espulsione dal Paese dell’intera famiglia. Apolidi e irregolari, ancora per poco.
Nel male.
Giannis, a cavallo tra vecchio e nuovo millennio, cresce nella miseria. In anticipo, rispetto a molti suoi connazionali gettati nella povertà dalla Crisi Greca odierna.
Assieme al fratello, vive di lavoretti occasionali come il vu’ cumprà sulle spiagge e città greche, vendendo anelli, souvenir, orologi, occhiali da sole. Quando non fa il venditore ambulante, lui e Thanasis condividono un solo paio di scarpe nei playground dei sobborghi ateniesi. Proprio qui, lo nota nel 2007 coach Spiros Velliniatis.
Nel bene.
Giannis dice NO (Oxi) all’Europa e sceglie l’America.
In anticipo, rispetto al 60% dei suoi connazionali che hanno detto a loro modo No alle forze europee, soltanto poche ore fa. Si, perché dal team di Seconda Divisione ellenica Filathlitikos, nel 2013 Giannis avrebbe dovuto trasferirsi in terra iberica al CAI Zaragoza. Ma non ne ha il tempo. Ad impedirglielo l’arrivo degli Scout americani ed il salto nella Nba. Insperato, mai neanche immaginato. Molto più di un sogno. Fantascienza, ad un tratto realtà.
La popolarità cresce e… aiuta. La Grecia, capito il potenziale campione cresciuto in casa, riconosce la famiglia Adetokunbo che, cittadinanza greca acquisita, ellenizza il proprio cognome in Antetokounmpo. Il mito “The Greek Freak” sta per nascere.
Esploratore del 21° secolo, Giannis arriva in America con la faccia di un bimbo che vede e vive tutto per la prima volta. Espressione sorpresa ed atteggiamento ingenuo.
Si fa amare fin da subito. Per le sue doti atletiche: cresce 6 cm in un anno, arrivando a 2,11 m con apertura alare di 226 cm. Prototipo del giocatore del futuro, capace di ricoprire 4 ruoli su 5 e di poter contribuire in ambo i lati del campo. Anomalo, precoce.
Per gli aneddoti che lo riguardano. Molti ed esilaranti.
Rapporto con i buffet, per lui che faceva fatica a guadagnarsi la pagnotta, controverso. Si dice che alla Summer League di Las Vegas si sia rivolto così al proprio allenatore:
“Coach cosa sta facendo? Ha già mangiato, perché si alza di nuovo?
O che, al primo banchetto imbandito nel pre-gara, volesse portarsi via il cibo avanzato, ignaro che avrebbe trovato tavola apparecchiata ogni giorno.
A Zaza Pachulia, il nostro Giannis, sconvolto per uno stipendio dimezzato dalle tasse, chiese se c’era un modo per non pagare i contributi. Mentre, da rookie, redarguì Caron Butler con tali parole:
“What are you doing? These good shoes”,
ripescando dal cestino le scarpe che il compagno aveva gettato.
Nei primi tempi, si recò in banca nel giorno della gara per inviare i soldi in Grecia alla propria famiglia. Esagerò, tanto da non conservare neanche gli spiccioli necessari per il taxi del ritorno. Temendo di non arrivare in tempo per il match, iniziò a correre finché una coppia in macchina non lo riconobbe per la strada offrendogli un passaggio.
Infine, con suo fratello Thanasis, in un ristorante lussuoso di Philadelphia, durante l’ordinazione, andò a finire così:
“Prendi ciò che vuoi”, disse Giannis a Thanasis.
I due guardavano il menù, in silenzio, anche un pò imbarazzati. Poi:
“Ho preso l’insalata”, disse Thanasis.
“Ho fatto lo stesso”, replicò Giannis.
La storia di ieri è la sua fortuna di oggi. Nel male, nel bene.
Per un ventenne che ha vissuto tutto ciò, anche la dura Nba non può che essere un bellissimo gioco, da prendere col sorriso.